Vittorio De Seta, il poeta della veritàdi Giulia Olianas, 30 gennaio 2024
“Poeta della verità” e “Antropologo con la voce di un poeta”: così prima Pier Paolo Pasolini e poi Martin Scorsese definirono Vittorio de Seta, padre del documentario italiano, che meglio di chiunque altro è riuscito a restituire, attraverso i suoi film, un’immagine fedele ed autentica della Sardegna degli anni Cinquanta e Sessanta.
È stato proprio Scorsese a promuovere e finanziare, con la sua Film Foundation e insieme alla Cineteca di Bologna, il restauro del lungometraggio più famoso di De Seta, Banditi a Orgosolo, uscito nel 1961, premiato lo stesso anno come “miglior opera prima” alla Mostra del Cinema di Venezia e proiettato l’anno successivo a New York.
Il film, ambientato in Barbagia, racconta una storia di conflitto tra potere e popolo, tra cultura dominante e culture subalterne: Michele, un pastore orgolese, viene accusato di un reato che non ha commesso, e braccato in un paesaggio arido e silenzioso, è costretto a diventare bandito per sottrarsi alla miseria e alla fame che uccide il suo gregge. Attraverso una storia semplice De Seta propone una riflessione sulle relazioni tra stato e comunità, sul controllo del potere centrale sulle realtà periferiche nell’Italia del boom economico, rimaste escluse dall’ondata di cambiamento che aveva invaso i modi e gli stili di vita della società nazionale, impossibilitate a seguire il tempo della storia.
De Seta arrivò ad Orgosolo nel 1958, sulla scia dell’interesse suscitato per il paese dalla pubblicazione nel 1954 di “Inchiesta su Orgosolo” dell’antropologo Franco Cagnetta: un resoconto che metteva in evidenza come la politica dello stato italiano nei confronti della comunità orgolese fosse in larga misura di tipo repressivo, decostruendo il pregiudizio lombrosiano di comunità “di briganti”, chiusa e diffidente per natura, e affermando invece che il rapporto conflittuale tra paese e Stato fosse causato dalle azioni ostili e dallo sguardo di sospetto che le autorità avevano sempre riservato a Orgosolo.
Il film, ambientato in Barbagia, racconta una storia di conflitto tra potere e popolo, tra cultura dominante e culture subalterne: Michele, un pastore orgolese, viene accusato di un reato che non ha commesso, e braccato in un paesaggio arido e silenzioso, è costretto a diventare bandito per sottrarsi alla miseria e alla fame che uccide il suo gregge. Attraverso una storia semplice De Seta propone una riflessione sulle relazioni tra stato e comunità, sul controllo del potere centrale sulle realtà periferiche nell’Italia del boom economico, rimaste escluse dall’ondata di cambiamento che aveva invaso i modi e gli stili di vita della società nazionale, impossibilitate a seguire il tempo della storia.
De Seta arrivò ad Orgosolo nel 1958, sulla scia dell’interesse suscitato per il paese dalla pubblicazione nel 1954 di “Inchiesta su Orgosolo” dell’antropologo Franco Cagnetta: un resoconto che metteva in evidenza come la politica dello stato italiano nei confronti della comunità orgolese fosse in larga misura di tipo repressivo, decostruendo il pregiudizio lombrosiano di comunità “di briganti”, chiusa e diffidente per natura, e affermando invece che il rapporto conflittuale tra paese e Stato fosse causato dalle azioni ostili e dallo sguardo di sospetto che le autorità avevano sempre riservato a Orgosolo.
L’integrazione di De Seta in paese non fu semplice; gli abitanti guardavano con diffidenza chi veniva da lontano, perché abituati alle incursioni di chi arrivava per indagare e scrivere sul banditismo, e che contribuivano così alla diffusione di un’immagine negativa della comunità. Grazie a dei contatti fornitigli da Cagnetta, De Seta fu introdotto alla comunità da delle persone del posto che divennero sue guide; iniziò così un periodo di condivisione di situazioni con la popolazione, dal trascorrere lunghi periodi con i pastori in montagna, all’osservare i giochi dei bambini per strada. Questo periodo di ricerca sul campo, in pieno stile Malinowski, fu fondamentale per capire che impulso dare alla trama del documentario: per un anno De Seta prese appunti sui modi di vita degli orgolesi e ne studiò ogni aspetto, dalle attività quotidiane alle relazioni con la giustizia, con uno sguardo a 360 gradi che gli permise di raccontare il carattere della comunità attraverso un approccio documentarista.
Banditi a Orgosolo è un film semplice, dalla trama non particolarmente elaborata, le sue scene si caratterizzano per la nitidezza della fotografia e per la potenza espressiva dei singoli fotogrammi, che se isolati non fanno alcuno sforzo ad esistere indipendentemente l’uno dall’altro, dimostrando una grande autonomia narrativa. Il livello di intimità che De Seta raggiunse con la comunità orgolese è testimoniato dal primo film che egli realizzò ad Orgosolo, l’anno in cui arrivò: Un giorno in Barbagia è un breve documentario che racconta la vita quotidiana degli abitanti di Orgosolo, in particolare delle donne, rimaste in paese mentre la maggior parte degli uomini lavorava con le greggi in montagna.
Le attività quotidiane sono riprese da vicino nel loro svolgersi nel corso di tutta la giornata, all’interno delle case: le distanze tra regista e persone riprese sono azzerate, le scene sono animate da un senso di intimità e di sintonia, gli orgolesi consideravano ormai De Seta come uno di loro, come uno del paese. Significativa è l’ambientazione nel centro del paese, all’interno di case costruite una a fianco all’altra, poco distanziate tra loro, che costituiscono un tessuto abitativo estremamente ristretto, rinforzando quel sentimento di legame e di intimità esistente tra abitanti e tra essi e il regista.
Banditi a Orgosolo è un film semplice, dalla trama non particolarmente elaborata, le sue scene si caratterizzano per la nitidezza della fotografia e per la potenza espressiva dei singoli fotogrammi, che se isolati non fanno alcuno sforzo ad esistere indipendentemente l’uno dall’altro, dimostrando una grande autonomia narrativa. Il livello di intimità che De Seta raggiunse con la comunità orgolese è testimoniato dal primo film che egli realizzò ad Orgosolo, l’anno in cui arrivò: Un giorno in Barbagia è un breve documentario che racconta la vita quotidiana degli abitanti di Orgosolo, in particolare delle donne, rimaste in paese mentre la maggior parte degli uomini lavorava con le greggi in montagna.
Le attività quotidiane sono riprese da vicino nel loro svolgersi nel corso di tutta la giornata, all’interno delle case: le distanze tra regista e persone riprese sono azzerate, le scene sono animate da un senso di intimità e di sintonia, gli orgolesi consideravano ormai De Seta come uno di loro, come uno del paese. Significativa è l’ambientazione nel centro del paese, all’interno di case costruite una a fianco all’altra, poco distanziate tra loro, che costituiscono un tessuto abitativo estremamente ristretto, rinforzando quel sentimento di legame e di intimità esistente tra abitanti e tra essi e il regista.
Sempre del 1958 è Pastori di Orgosolo, altro cortometraggio che De Seta realizzó per raccontare la vita dei pastori che lasciavano il paese per restare con le greggi in montagna. Ambientato nel Supramonte, esso mostra la durezza dell’esistenza di questi uomini che in totale solitudine dovevano far fronte a difficoltà ed intemperie per sopravvivere all’inverno in un ambiente quasi ostile, in un silenzio rotto solo dai suoni dei gesti quotidiani.
I film di De Seta possono essere considerati un prodotto innovativo per quanto riguarda la conduzione degli attori. I personaggi di Un giorno in Barbagia, di Pastori di Orgosolo e di Banditi a Orgosolo sono infatti tutti interpretati da abitanti di Orgosolo; De Seta sceglie appositamente di non lavorare con attori professionisti per mantenere la spontaneità di chi mette in scena sé stesso.
La scrittura stessa della sceneggiatura è una scrittura collettiva, realizzata attraverso la definizione di un canovaccio che lasciava poi spazio all’improvvisazione, per valorizzare l’espressione della gente del posto, secondo una tecnica di messa in situazione. Un metodo questo non senza complicazioni: la spontaneità degli attori finiva infatti per deformare il testo iniziale, che subiva costanti correzioni e cambiamenti di tiro per riportarvi logicità. Un processo lungo e complicato il cui fine era proprio il cogliere lo spirito della comunità dall’interno. In Banditi a Orgosolo i dialoghi, ripresi e girati in orgolese, furono alla fine doppiati in italiano, come spiegò lo stesso De Seta, per ragini commerciali; fu Gian Maria Volonté a prestare la sua voce al protagonista.
I film di De Seta possono essere considerati un prodotto innovativo per quanto riguarda la conduzione degli attori. I personaggi di Un giorno in Barbagia, di Pastori di Orgosolo e di Banditi a Orgosolo sono infatti tutti interpretati da abitanti di Orgosolo; De Seta sceglie appositamente di non lavorare con attori professionisti per mantenere la spontaneità di chi mette in scena sé stesso.
La scrittura stessa della sceneggiatura è una scrittura collettiva, realizzata attraverso la definizione di un canovaccio che lasciava poi spazio all’improvvisazione, per valorizzare l’espressione della gente del posto, secondo una tecnica di messa in situazione. Un metodo questo non senza complicazioni: la spontaneità degli attori finiva infatti per deformare il testo iniziale, che subiva costanti correzioni e cambiamenti di tiro per riportarvi logicità. Un processo lungo e complicato il cui fine era proprio il cogliere lo spirito della comunità dall’interno. In Banditi a Orgosolo i dialoghi, ripresi e girati in orgolese, furono alla fine doppiati in italiano, come spiegò lo stesso De Seta, per ragini commerciali; fu Gian Maria Volonté a prestare la sua voce al protagonista.