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De Rebus
Sardois


        
 
             





De Rebus
Sardois



© De Rebus Sardois 2023





Pontinental
Pineta
Beach Hotel



di Sara Nieddu
26 aprile 2023

Il sogno mediterraneo della midlle-class inglese firmato Joe C. Colombo


Progettato dagli architetti Baldi e De Luigi di Firenze, l'Hotel Pontinental sorgeva in una grande pineta sulla costa tra Porto Torres e Sorso, nel golfo dell'Asinara. L'albergo, costruito nel 1962 dall’imprenditore inglese Sir Fred Pontin, fu il primo resort estero della catena alberghiera omonima e uno dei primi centri balneari realizzati nel nord dell'isola. Pensato per accogliere la middle class inglese, l’albergo era dotato di spiaggia, piscina, discoteca, minigolf e campo da tennis. Si estendeva in altezza su tre piani e poteva ospitare fino a trecento ospiti.






Gli interni furono affidati al promettente designer Joe C. Colombo, già premiato nel 1963 dalla Triennale di Milano per la MiniKitchen a ruote, che presto diventerà un’icona per la sua modernità e lungimiranza.

L’arredamento concepito dall’architetto milanese, che gli varrà il prestigioso premio INARCH, spicca per la sua modernità e flessibilità: elementi smontabili realizzati in Lombardia per essere sezionati per il trasporto e rimontati nell’hotel. Le impennate e i rivestimenti sono in longheroni di legno, avvitati tra loro e senza incastri. Anche nelle camere, i letti, le tolette, le mensole e le panche, sono totalmente scomponibili. Creativa è anche l'ideazione di una vera e propria rotaia ferroviaria, utilizzata come corrimano per le scale e sostegno per le mensole e comodini nelle camere.


Il materiale impiegato è il teak indiano e l’acciaio inossidabile, ottimo alleato per resistere alla salsedine del vento marino. Il soffitto della hall, invece, viene realizzato con liste di legno da cui sporgono dei parallelepipedi in plexiglas che, come dei cristalli di ghiaccio, diventano conduttori di luce, creando così un suggestivo effetto luminoso.

 

Le sala lounge e quella ristorante sono particolarmente soleggiate, grazie a grandi aperture che illuminano gli ambienti durante le ore più calde. Per ovviare alla luce diretta del sole, le vetrate vengono schermate con dei frangisole. Il colore predominante dei tessuti è il rosso, in contrasto con i soffitti di color antracite scuro e le pareti delle sale, molto grandi, di color grigio chiaro, utilizzato per rendere luminose le zone più interne.

Ogni camera ha il proprio bagno e la propria macchina per il tè e, poiché i vacanzieri britannici credevano che tutto il cibo straniero avrebbe turbato il loro stomaco, la cucina del ristorante serve rigorosamente cibo inglese, arricchito da un unico piatto mediterraneo per gli spiriti più audaci.


Il progetto pionieristico del Pontinental, tuttavia, tramonta a fine negli anni ‘80, con la cessione della catena alberghiera e l’avvento del turismo di massa. Oggi, al suo posto, profondamente trasformato e gestito da una nuova proprietà, c’è il Villaggio dei Pini Hotel.





Una forma d’arte effimera:
la modellazione
figurativa dei pani

di Giulia Olianas
19 agosto 2022

Nonostante la Sardegna sia stata più volte definita “terra del poco pane” a causa di una presunta difficoltà produttiva legata alla disomogeneità delle sue terre, fu proprio da questa condizione di necessità che il pane, alimento semplice e basilare, si è arricchito di un nuovo senso, divenendo prezioso e quasi “sacro”. Fondamento della vita materiale, base alimentare di una società fortemente ancorata alla produzione cerealicola, il pane ha assunto il ruolo di protagonista di quella che Alberto Cirese definì una nuova forma d’arte creativa “effimera”, ovvero la modellazione figurativa dei pani, che per il suo alto livello di specializzazione e perizia tecnica venne definita dallo stesso studioso come uno dei tratti più intrinseci e rappresentativi della cultura sarda.


Dagli esiti della raccolta del grano è sempre dipesa la sopravvivenza delle comunità dell’isola, e la vita dei contadini è sempre stata dominata dall’imprevedibilità degli eventi naturali; da qui il costante ricorso a divinità e santi, la richiesta di aiuto e protezione attraverso la formulazione di voti, l’offerta di feste, preghiere e processioni, in cui il pane diviene segno di abbondanza e allegoria di prosperità alimentare.  L’arte della modellazione dei pani, attività prettamente femminile, assume forme diverse a seconda dell’occasione, per cui ad ogni festa corrisponde una precisa tipologia formale, che raggiunge l’apice della complessità in corrispondenza dei momenti cruciali dell’anno agrario e pastorale. I pani decorati, pani pintaus, si caratterizzano per la loro elaborazione a figurazioni stilizzate e per le composizioni intagliate e traforate, ottenute con strumenti quali punzoni, rotelle e timbri, e sono spesso rifiniti con uno strato di lucidatura (pane ischeddau).


Foto e pani realizzati da Antonietta Spanu


Forme speciali di pane sono inoltre associate a precisi momenti di passaggio della vita del singolo, quali battesimi, fidanzamenti, e soprattutto matrimoni (pani de is isposus), in cui il pane è modellato a forma di cuore, di colomba o mezzaluna, ed è talvolta intrecciato con tralci di pervinca, ma anche morti (pani de is animas) e vari tipi di pane per i bambini (craixedda, fraschitteddu).  Diffusissimi sono i pani confezionati in occasione delle feste cristiane, in particolare i pani della Quaresima e quelli della Pasqua. 

I primi assumono forme diversa ogni settimana, tra le quali vale la pena ricordare Sa Pippia ‘e Caresima, pane a forma di bambina con sette gambe corrispondenti ai giorni della settimana che venivano staccate giorno dopo giorno per misurare il tempo mancante alla Pasqua, Sa Pramma in cui la lavorazione della pasta rimanda all’intreccio delle palme benedette, Lazzareddu, pane rappresentante in modo assai realistico la figura di Lazzaro, e pani simboleggianti gli strumenti della passione, quali i chiodi, la scala, la corona di spine, la croce. I pani pasquali più diffusi sono invece i Coccoi cun s’ou, tutt’ora largamente prodotti, in cui l’inserimento delle uova rimanda alla rinascita.





Il pane nell’arte del Novecento in Sardegna

Alla tematica della panificazione fa riferimento nelle sue sculture più mature anche Costantino Nivola, che attraverso l’allusione al gesto femminile dell’impastare ricorda i pochi momenti felici della sua infanzia trascorsa a Orani. Nelle ceramiche degli anni Sessanta e Settanta la creta è modellata attraverso un tocco sensibile e delicato, in cui la sensualità della manipolazione evoca il rito domestico della panificazione, non senza associazioni erotiche. Così l’immagine visiva del pane tradizionale sardo, della grande sfoglia tondeggiante, suggerisce i temi formali della maturità artistica di Nivola: le superfici lisce ed orizzontali in Spiagge, il profilo curvilineo e convesso delle Madri e delle Vedove, in cui la forma femminile è solo un risultato.  Proprio a queste ultime opere si lega il ricordo del muro panciuto della casa natale che celava al suo interno il tesoro, il pane piatto e sottile che si gonfiava al calore del forno, configurandosi come promessa di appagamento della fame; allo stesso modo, la donna gravida nasconde in grembo il tesoro del figlio in arrivo. L’associazione muro-pane-fertilità femminile è esplicitata da Nivola nell’opera Su Muru Pringiu, una lastra in pietra di trani convessa al centro, in cui ritorna anche il tema del costruire, per cui uomo e donna coincidono nella sacralità del rito basilare della vita. In Nivola il pane diventa metafora della creazione, della vita come dell’opera d’arte. 

Maria Lai, "Pagine" - Studio Stefania Miscetti -Maria Lai, Legarsi alla Montagna, 1981 Foto © Piero Berengo Gardin

Anche per Maria Lai la panificazione si fa metafora di arte e di vita. Il pane è una suggestione continua che l’accompagnò lungo tutto il suo percorso artistico, fin dagli esordi, tanto che la stessa artista dichiarò che la sua prima accademia fu quella delle donne impegnate a fare il pane a casa, in momenti di condivisione del sapere immateriale, in cui i gesti si trasformavano in visioni mistiche caratterizzate da profonda ritualità e senso del mistero. Maria Lai utilizza inizialmente il pane come materia scultorea spontanea, come simbolo che comunica vita: pani a forma di serpenti, di colombe, di bambini, attraverso cui l’artista ricerca nuovi risultati plastico-semantici. Nei suoi Pupi di pane, la tradizione precristiana della nascita annuale si fa materiae, incarnandosi in forme antropomorfe cosparse di semola, dall’aria vulnerabile, caratterizzate da tratti semplificati e sintetici. Con i bambini di pane la celebrazione plastica della scultura tradizionale si sposta nel contesto domestico della cucina, realizzando quel riscatto pubblico di uno spazio privato da sempre riservato alle donne. “Il pane mi rispondeva”: per Maria Lai l’arte ha bisogno di una frequentazione giornaliera, come il pane quotidiano che si gonfia in forno e che trasmette così un senso di vita.





Eterotopia, gruppo di ricerca e progettazione territoriale, pubblica il suo primo libro di indagine sull’arcipelago sardo di La Maddalena, modello di relazioni molteplici e complesse, attraverso la lente di un laboratorio collettivo








La Maddalena. Atlante di un’occupazione

Un libro che racconta il territorio e le sue alleanze inattese tra la terra e i suoi occupanti

29 maggio 2022

Un libro manifesto

La Maddalena. Atlante di un’occupazione, è il manifesto fondativo di una pratica progettuale all’intersezione tra ricerca, progettazione e l’interazione tra diverse discipline, che ambisce a dare forma all’intangibilità e agli immaginari radicati nei territori. Costruito sulla base di un laboratorio di ricerca curato da Eterotopia nel 2018, il libro aspira a propore strategie che trovino nel sodalizio tra le diversità la propria forza.


 



I territori sono campi di sperimentazione e generano stratificazioni di storie, fenomeni e mitologie. In quanto ricettacoli di consuetudini ed eccezioni, racchiudono grandi sfide per l’architettura e l’urbanistica contemporanea.

Nel suo primo progetto editoriale, Eterotopia indaga la condizione contemporanea del territorio italiano e la sua complessità, intrecciando condizioni manifeste e immaginate per sostenere la dignità del patrimonio immateriale dei luoghi e trasformarlo in progetto. 


Ben lontano dall’essere una guida turistica dell’arcipelago, questo libro propone una progettualità a più livelli, che tenga conto del vissuto degli abitanti, delle sue leggende,

delle geografie e delle vicende antropologiche che lo animano, prediligendo alla visione zenitale dei satelliti e dei cartografi uno sguardo obliquo e trasversale sul territorio indagato.


Le riflessioni teoriche introduttive a questo lavoro si affiancano alle visioni progettuali raccolte durante il laboratorio di ricerca interdisciplinare, che ha radunato più di centoventi architettə, archeologə, biologə, fotografə e artistə, a riflettere sulle risorse invisibili dell’arcipelago sardo di La Maddalena.

Un’indagine territoriale dell’arcipelago di La Maddalena



L’arcipelago di La Maddalena è un modello complesso di rapporti di interdipendenza e connessione, che, nella sua unicità, è rappresentativo di diversi tipi di sistemi isolati sul territorio italiano. La Maddalena. Atlante di un’occupazione è la prima indagine territoriale del collettivo di architettə Eterotopia e approfondisce diverse tematiche legate al territorio insulare, la cui storia è caratterizzata da un susseguirsi di occupazioni.


Dall’esercito Napoleonico al prolifico soggiorno della NATO, dalla fallimentare vicenda del complesso G8 al carico antropico stagionale del turismo di massa, dalle colonizzazioni vegetali alle contaminazioni culturali del porto di La Maddalena, quest’isola nell’isola ha


registrato un continuo flusso di occupazioni e abbandoni, che la rende un modello di studio di diverse tematiche alla congiunzione tra locale e globale.

A distanza di tre anni dal laboratorio di ricerca territoriale a La Maddalena, Eterotopia si immerge nella profondità di questi mari pieni di terre per riaffiorare con una visione unitaria, alla base di una pratica progettuale a scala territoriale.


Otto visioni in forma di atlante

Otto visioni in forma di atlante raccontano la stratificazione di storie, immaginari e architetture, a celebrare le alleanze inattese tra la terra e i suoi occupanti. La struttura del libro è articolata in diverse sezioni: Prospettive raccoglie un ampio corpus di riflessioni sul fare territorio nella forma di cinque saggi; Atlante di un’occupazione racconta l’interpretazione delle autrici e degli autori sul territorio indagato e i rapporti di contaminazione e di forza tra la terra e i suoi occupanti; Le 8 tematiche, infine, sviluppano le visioni del laboratorio collettivo in una multiforme varietà di contenuti.

La Maddalena. Atlante di un’occupazione, dal 9 giugno in libreria, sarà pubblicato da Quodlibet nella collana Città e Paesaggio.


Fuori formato, e raccoglie i contributi di Luis Callejas, Stefano Boeri, Pippo Ciorra, Annalisa Gulino, Nicolò Fenu, ENORME Studio, VacuaMoenia, Parasite 2.0, 

Giaime Meloni, Something Fantastic, Paolo Patelli, Traumnovelle, Giuseppe Ridolfi, urbz, Alterazioni Video, Orizzontale, Cherimus, Openfabric, CEA di Stagnali, False Mirror Office, Pascal Arnaud.


Il progetto grafico è a cura di Studio Natale, studio grafico con base a Roma.


Il libro è a cura di Elena Sofia Congiu, Matteo De Francesco, Carlotta Franco, Samanta Sinistri, Giuditta Trani e Mara Usai.

Il progetto è stato sostenuto dalla Regione Sardegna, dal Comune di La Maddalena e da Ceramica Mediterranea.